I Black Paintings di Ad Reinhardt
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Versione audio: Nell’ambito dell’Espressionismo astratto americano, accanto ai pittori dell’Action Painting, alcuni artisti, in un processo di sublimazione della fantasia, si indirizzarono verso un genere di pittura astratta molto controllata, calibrata, logica e analitica: una sorta di astrazione sedimentata e contemplativa, espressa attraverso grandi superfici quasi monocrome o solcate da poche linee rigorose. Si possono individuare due particolari correnti: la Post Painterly Abstraction e il Color Field. Il Color Field di Reinhardt Il termine Color Field (letteralmente ‘campo colorato’) definisce una pittura caratterizzata da grandi campiture cromatiche, come quelle di Mark Rothko, Barnett Newman, Adolph Gottlieb e Ad Reinhardt (1913-1967). Quest’ultimo fondò le proprie opere sul colore puro, legandosi all’Astrattismo geometrico delle Avanguardie russe. All’interno dei suoi monocromi blu, rossi e neri, solo un attento osservatore può a tratti distinguere quadrati, croci e altre figure geometriche. Con questi quadri, Reinhardt intese liberare l’arte da ogni possibile implicazione emotiva, rendendola assolutamente impersonale, pura e capace di esprimere solo sé stessa, in base al principio secondo cui l’arte è solo arte. Una pittura minimale L’arte di Reinhardt, per convenzione storiografica ricondotta al contesto dell’Espressionismo astratto americano, in realtà fu assolutamente minimale. Nel corso degli anni, infatti, l’artista ripudiò dalle proprie opere ogni componente allusiva ed emozionale. L’arte astratta, secondo Reinhardt, doveva essere assoluta, non doveva contenere alcun richiamo narrativo e neppure un minimo riferimento alla realtà. «L’arte è arte e tutto il resto è tutto il resto», usava dire. Egli non condivise mai le posizioni di tanti suoi colleghi pittori della Scuola di New York, i quali, suggestionati dal Surrealismo, identificarono totalmente l’arte con la propria vita, con la propria dimensione interiore, sino ad approdare all’Action Painting, e neppure l’orientamento artistico dei neodadaisti, i quali affermarono, sulla scorta di Duchamp, che tutto poteva essere arte, anche gli oggetti presi dalla spazzatura. I Red Paintings e i Blue Paintings Reinhardt ebbe sempre un approccio assolutamente intellettuale al proprio lavoro e scelse di mantenere i due ambiti, arte e vita, nettamente separati. Per questo considerò l’arte astratta come l’unica possibile. E fu sempre per questo che negli anni Cinquanta pervenne alla creazione delle sue prime serie monocrome, i Red Paintings e i Blue Paintings. Attraverso di esse, l’artista raggiunse una purezza “definitiva”: i suoi dipinti non solo sono sostanzialmente indescrivibili (perché non contengono nulla da descrivere) ma risultano perfino non riproducibili attraverso le fotografie, che difficilmente riescono a catturare certe sfumature di colore quasi indistinguibili anche all’occhio umano, di presenza. I Black Paintings Negli anni Sessanta, rinunciando anche all’uso del colore, Reinhardt propose la sua serie più radicale: quella dei Black Paintings, composta da quadri apparentemente tutti neri ma in realtà composti da lievissime sfumature di grigi intensi e prossimi al nero con segni neri sovrapposti e forme geometriche appena visibili. L’influenza del pittore astratto russo Kazimir Malevič e delle sue opere, come Quadrato nero su fondo bianco, è palese. L’obiettivo di Reinhardt, però, era in parte diverso, e così gli esiti. Esiste, nella pittura dell’americano, una componente filosofica-spirituale del tutto assente nell’arte del maestro russo. Il nero del Quadrato nero di Malevič è assoluto e rigoroso e rappresenta il nulla radicale. Non così il “nero relativo”, il “quasi nero” dei Black Paintings di Reinhardt, il quale fu molto astratto dalle filosofie orientali, e dallo zen in particolare. Un processo di svuotamento Il tema dei Black Paintings non è tanto il “vuoto”,