Il Veronese (Paolo Caliari)

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Versione audio: Paolo Caliari (1528-1588), detto il Veronese dal nome della città natale, si formò in una Verona largamente nutrita di estetica manieristica e s’introdusse nell’ambiente artistico veneziano nel 1553. I suoi primi cicli pittorici (realizzati per la Sala del Consiglio dei Dieci in Palazzo Ducale, 1553, per la Chiesa di San Sebastiano, dal 1555, per la Libreria di Sansovino, 1556) si ispirarono ai modelli dell’arte emiliana e del Manierismo romano, conosciuto attraverso Giulio Romano. Gli affreschi di Villa Barbaro Dopo un viaggio a Roma compiuto nel 1560, Veronese realizzò, probabilmente tra il 1560 e il 1561, gli affreschi di Villa Barbaro a Maser (in provincia di Treviso), animando la bella architettura di Palladio con favole mitologiche, scorci di vita familiare, paesaggi incantevoli incorniciati da arcate che sfondano le pareti, deliziosi capricci illusionistici tra architetture dipinte, come quelli dei finti servitori che aprono porte immaginarie. I committenti del ciclo decorativo furono i fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro, proprietari della villa, i quali, essendo due umanisti colti e raffinati, potrebbero essere stati anche gli ideatori del soggetto, forse tratto dalle Immagini degli Dei Antichi del trattatista cinquecentesco Vincenzo Cartari. Il ciclo celebra l’armonia universale propiziata dalla Divina Sapienza, presente in forma allegorica sulla volta della sala principale (Sala dell’Olimpo), la stessa in cui Giustiniana Giustinian, moglie di Marcantonio Barbaro, si affaccia illusionisticamente da un loggiato, accompagnata da una nutrice. Nelle altre sale della villa si celebrano la fecondità della terra (Sala di Bacco), l’amore coniugale (Sala del Tribunale d’Amore), la fede cristiana (Sala del Cane e Sala a Crociera). Curiosamente, il Palladio, ne I quattro libri dell’architettura, non accenna alla decorazione della villa da Parte del Veronese, artista che peraltro apprezzava. Lo stile del Veronese Come attestano le immagini di Villa Barbaro, la pittura di Veronese non fu mai tormentata e intellettualmente complessa ma sempre festosa, serenamente olimpica e profana. Il suo felice gusto del colore, dalle gamme fredde e chiarissime, distanziò, per lungo tempo, la sua arte sia dal caldo tonalismo di Tiziano sia dal drammatico chiaroscuro del Tintoretto. Grazie alla sua eccezionale padronanza delle tecniche pittoriche, egli si propose come un decoratore di altissimo livello, circoscrivendosi un’area esclusiva nella quale non ebbe rivali. Le folle dei suoi grandi teleri palpitano nello splendore dei costumi cinquecenteschi in broccati e sete, al punto da oscurare quasi sempre anche l’elemento mistico del divino; le donne splendono nella loro sensuale bellezza, esaltata dai rosei e morbidi incarnati e dalle aureole dei capelli biondi intrecciati. Le “cene” Veronese fu autore di numerose opere, molte delle quali di soggetto sacro; tuttavia deve la sua fama soprattutto alla serie delle cosiddette “cene”, ossia ad alcuni dipinti, di grande formato, che rappresentano sontuosi banchetti ispirati ad alcune pagine evangeliche. In realtà, il soggetto sacro costituisce solo un pretesto per orchestrare immagini scenograficamente complesse, ricche di invenzioni pittoriche, talvolta animate da personaggi bizzarri e dunque, nella sostanza, dal carattere assai “profano”, che all’epoca crearono all’artista non pochi problemi. Non di rado, ambientazioni, costumi e suppellettili sono riconducibili alla Venezia del Cinquecento: quinte architettoniche grandiose e loggiati monumentali richiamano gli edifici classicistici di Andrea Palladio. Appartengono a questa serie almeno otto dipinti: una prima Cena in casa di Simone oggi a Torino (1555-56), le Nozze di Cana (1562), tre altre cene a casa di Simone (Brera, 1567-70, Versailles, 1570-72, Dresda, 1571-72), la Cena di san Gregorio Magno (1572),

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