La Natura morta nel Seicento. Prima parte

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Versione audio: Nell’arte figurativa, si definisce Natura morta quel genere artistico che prevede la raffigurazione di fiori, frutta, pesci, cacciagione o vari oggetti d’uso, presentati come soggetti autonomi. L’origine della Natura morta è molto antica. Concepiti come rappresentazioni autonome o inseriti in contesti narrativi più complessi, fiori, frutta e oggetti sono presenti, in pittura, già nell’arte egizia e mesopotamica e poi in quella greca e romana. Anche nell’arte bizantina e medievale occidentale, le scene bibliche e le storie dei santi offrono occasioni per raffigurare stoviglie e vivande sulle tavole, libri, strumenti per la scrittura. Fiori e frutti sono adottati come simboli di Maria e di Cristo e accompagnano le loro figure. Nei dipinti fiamminghi del XIV secolo, che ricostruiscono analiticamente interni e arredi, e anche in certi esempi quattrocenteschi di pittura italiana, vedi il Cenacolo di Leonardo a Milano, si possono riconoscere i diretti antecedenti della Natura morta. In qualche modo, sono già di fatto Nature morte i versi, cioè le parti posteriori, di certi ritratti fiamminghi e tedeschi, con la rappresentazione autonoma di oggetti. Il Vaso di fiori di Hans Memling, lato B del Ritratto di giovane uomo che prega del 1485, costituisce un esempio emblematico. Anche veri e propri trompe-l’oeil che si diffondono nel primo Rinascimento in dipinti, miniature e tarsie costituiscono un antecedente di questo genere in Italia: pensiamo alle tarsie dello Studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino, realizzate attorno al 1476. Il primo esempio italiano di Natura morta inteso come genere pittorico autonomo è la tavola (forse sportello di un armadio) con una pernice, guanti di ferro e un dardo di balestra, del veneziano Jacopo de’ Barbari, firmata e datata 1504. Un genere minore Il termine Natura morta è seicentesco e comparve per la prima volta in alcuni inventari di quadri olandesi di metà XVII secolo. Qui leggiamo di Stilleven, parola poi tradotta nel tedesco Stilleben e nell’inglese Still life (traducibile letteralmente con “vita immobile”): tutte espressioni che indicano il carattere fermo dei soggetti illustrati, in contrapposizione alle immagini con figure umane dove si voleva cogliere il senso della vita, del movimento, più o meno trattenuto, della vivacità intellettuale, dell’ardore sentimentale ed emotivo. Le dizioni Nature morte e Natura morta sono invece tipiche dei paesi latini. A Parigi, sempre nel XVII secolo, sotto la guida del pittore Charles Le Brun (1619-1690), massimo esponente della cultura pittorica e decorativa dell’età di Luigi XIV, furono ordinati gerarchicamente tutti i generi pittorici allora prodotti. Quello cui i francesi riconobbero maggiore importanza fu ovviamente il genere “di storia” (biblica, mitologica e relativa alle gesta di uomini famosi); seguivano il ritratto, la pittura di paesaggio, la pittura di animali e, per ultimo, proprio quello della Natura morta, considerato con disprezzo dall’Accademia perché si limitava alla rappresentazione di fiori, cibarie e oggetti. Gli acquirenti di Nature morte furono normalmente borghesi, che amavano con queste opere decorare le sale da pranzo delle proprie case o delle ville di campagna. Le prime nature morte Se il Seicento è considerato il secolo della Natura morta, l’uso di introdurre nei quadri alcune immagini di oggetti tratti dal vero fa parte di una lunga tradizione. Nella seconda metà del Cinquecento, però, il diffuso interesse per gli studi naturalistici aveva spinto alcuni artisti a produrre dipinti che destinavano gran parte della composizione ai fiori, alla frutta o alle tavole imbandite. Nelle Fiandre, per esempio, le scene evangeliche furono talvolta relegate in secondo piano per lasciare spazio a descrizioni di mercati o di interni di cucina. Negli ultimi decenni del secolo, il nuovo filone cominciò ad incontrare il favore del pubblico: così, fiori, frutta, ortaggi,

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