La Sagrestia Vecchia di Brunelleschi
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Versione audio: La cosiddetta Sagrestia Vecchia, uno dei primi capolavori architettonici del Rinascimento, venne realizzata, a Firenze, su progetto di Filippo Brunelleschi (1377-1446). Questi, nel 1420, venne incaricato da Giovanni di Bicci dei Medici, padre di Cosimo il Vecchio, di costruire una cappella funebre per la sua famiglia, adiacente al transetto sinistro della Basilica paleocristiana di San Lorenzo. L’architetto vi lavorò per sette anni, dal 1421 al 1428, portandola a compimento giusto in tempo per accogliere le spoglie del committente, il cui sarcofago venne collocato al centro, sotto un grande tavolo di marmo. Quando Brunelleschi, negli anni a seguire, ricostruì anche l’intera basilica, su commissione di Cosimo il Vecchio, la cappella venne mantenuta come parte integrante del nuovo edificio. La pianta La cappella si presenta come un semplice vano cubico. La sua pianta è infatti quadrata e il lato misura come l’altezza, all’imposta della cupola. Su questo ambiente principale si affaccia una scarsella, ossia un secondo vano quadrato più piccolo, il cui lato misura 1/3 di quello maggiore. Tale scarsella presenta tre piccole nicchie curvilinee ed è affiancata da due ridotti ambienti di servizio voltati a botte. La parete dell’altare Brunelleschi fu il primo ad adottare, dalla fine dell’età antica, l’uso canonico dell’ordine architettonico greco-romano. La parete dell’altare, quella più importante, è divisa in tre parti, costituite dal grande arco centrale a tutto sesto, che immette nella scarsella, e dalle due porzioni di muro che lo affiancano. L’arco, sorretto da due lesene corinzie scanalate, è affiancato dalle due classicheggianti porte in bronzo che danno accesso ai locali di servizio, realizzate da Donatello e Michelozzo. I materiali a basso costo scelti per la costruzione della Sagrestia, ossia la pietra serena per le membrature architettoniche e l’intonaco delle pareti, creano un’equilibrata bicromia di grigio e bianco, un tratto distintivo dell’architettura brunelleschiana che sarebbe diventato, negli anni a venire, caratteristico del Rinascimento fiorentino in generale. Le altre pareti Le altre pareti della cappella sono molto più semplici, perché semplicemente attraversate dal motivo orizzontale della trabeazione corinzia, decorata da un fregio con cherubini e serafini rossi e blu (questi ultimi attribuiti a Luca della Robbia). La trabeazione è retta agli angoli da lesene piegate a squadra e al centro da mensole rompitratta, poste a distanza regolare. Le mensole sostituiscono gli elementi verticali di sostegno, come lesene o semicolonne, la cui presenza avrebbe appesantito l’impianto architettonico generale. Invece, con l’introduzione di questo sistema portante non vero ma verosimile, il muro appare come smaterializzato, ridotto visivamente a un immateriale e astratto tamponamento. La cupola principale Il vano principale è coperto da una cupola, raccordata alle murature sottostanti da pennacchi. Tale cupola presenta una struttura “ad ombrello”, ossia a creste e vele, è innervata da dodici costoloni e ha dodici finestre circolari sul piano d’imposta. Ogni singolo spicchio murario, a vela curva, si appoggia sui costoloni. Sotto l’anello della cupola, ossia sui pennacchi e fra gli arconi, si incastrano otto tondi incorniciati di pietra serena, che Brunelleschi avrebbe voluto vuoti e che invece, a partire dal 1428, furono decorati a stucco da Donatello. La simbologia dei numeri Brunelleschi riversò in questo progetto il suo interesse per il simbolismo teologico attribuito sia alle forme geometriche del cerchio, del quadrato, della sfera e del cubo, sia ai numeri tre, quattro e dodici. Il numero tre rimanda alla natura divina della Santissima Trinità (costituita da Padre, Figlio e Spirito Santo). All’interno della Sagrestia sono tre le parti sovrapposte di uguale altezza: la prima arriva alla trabeazione,