La Sant’Anna Metterza di Masaccio e Masolino

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Versione audio: La Pala di Sant’Ambrogio, nota come Sant’Anna Metterza, è stata la prima opera di collaborazione dei due pittori quattrocenteschi Masaccio (1401-1428) e Masolino (1383-1440), i quali erano da poco diventati compagni di bottega. L’opera rappresenta la Madonna in trono col Bambino e Sant’Anna. Metterza proviene dal dialetto toscano due-trecentesco e vuol dire ‘mi è terza’, cioè ‘messa terza’ (dal latino medievale mettertia): infatti, Anna, la madre di Maria, si trova dietro le spalle della Vergine, dunque in terza posizione, se si considera il Bambino raffigurato in primo piano. È terza anche la sua posizione nell’albero genealogico di Gesù, in quanto genitrice di Maria e progenitrice di Cristo. Vasari aveva erroneamente assegnato il dipinto interamente a Masaccio. È stato lo storico dell’arte Roberto Longhi, nel 1940, a riconoscervi anche la mano di Masolino e a identificare le parti da lui realizzate. La commissione Il quadro, dipinto negli anni 1424-25, venne realizzato per la Chiesa di Sant’Ambrogio a Firenze e forse in origine faceva parte di un grande ciborio devozionale, perché manca di predella e di pannelli laterali. In alternativa, potremmo ipotizzare che si tratti della tavola centrale di un polittico poi smembrato. Secondo i documenti, committente del dipinto fu Nofri Del Brutto Buonamici, esponente di una famiglia di tessitori di drappi, i cui stemmi un tempo si trovavano nella parte inferiore dell’opera (ora non sono più visibili). I due artisti si divisero equamente i compiti: Masaccio dipinse la Madonna col Bambino e uno dei tre angeli reggicortina che stendono il drappo damascato come fondale, quello con il vestito verde cangiante in rosso sulla destra; Masolino realizzò la Sant’Anna e gli altri angeli. Masolino, benché socio di Masaccio, era il capobottega e quindi rivestiva un ruolo più importante. Infatti, scelse per sé il personaggio principale del dipinto, Sant’Anna, appunto, per la quale Firenze nutriva una particolare venerazione e che difatti è quella che, tradizionalmente, dà il titolo all’opera (nonostante la presenza della Madonna). La scena La scena, nel suo complesso, simboleggia l’autorità benevola della Chiesa nella società cristiana e presenta un tono fortemente mistico, reso ancora più solenne dalla statica frontalità delle figure principali. Maria è seduta su un grande trono privo di schienale, con il Bambino sulle gambe. Alla base del trono si legge la frase “Ave Maria Gratia Plena Dominus Tecum Benedicta Tu”. Sant’Anna, seduta dietro di lei, poggia la sua mano destra sulla spalla della Vergine e protende la sinistra sul piccolo nipote. Anna, madre protettrice di Maria e dunque santa tutelare per eccellenza, costituisce dunque il vertice della piramide familiare. Si noti che la madre della Madonna ha anche l’aureola più grande che riporta la scritta Sant’Anna è di Nostra Donna fastigio. Due angeli, in basso, agitano un turibolo spargi-incenso. Altri tre angeli tengono un ampio drappo damascato che funge da sfondo alle figure principali e che richiama l’attività professionale svolta dal committente. Tutte le figure angeliche sono molto più piccole dei principali personaggi sacri, in questo mantenendo la tradizione medievale delle proporzioni gerarchiche. La Madonna col Bambino La Vergine, immobile, rimanda all’iconografia medievale della Madonna come Sede della Sapienza (Sedes sapientiae), così chiamata poiché generatrice di Gesù (e difatti qui ella tiene attaccato il figlio al proprio ventre). Masaccio era ancora molto giovane. Tuttavia, aveva già acquisito un potente senso del rilievo, del volume e della luce strutturante ed era in grado di esaltare il senso dell’architettura interna del corpo. Il volto di Maria è un perfetto ovale, e sono ben marcati sia il vigore del suo collo sia la profondità delle gambe leggermente divaricate sotto il mantello blu lapislazzulo, che tanto ricordano quelle della Madonna Ognissan...

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