L’arte dal Postimpressionismo all’Art Nouveau
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Versione audio: Dopo il primo “impulso rivoluzionario” dell’Impressionismo, nell’ultimo ventennio dell’Ottocento l’arte europea aprì le porte a una grande fase di diversificazione dei linguaggi. Questa fase artistica è stata a lungo e per convenzione indicata con il generico termine di Postimpressionismo, che letteralmente vuol dire ‘dopo l’Impressionismo’. Il termine non ha l’ambizione di indicare un movimento artistico vero e proprio, che difatti in quanto tale non è mai esistito, ma è stato adottato dagli storici dell’arte per comodità di classificazione, per creare una sorta di contenitore storiografico destinato ad accogliere situazioni culturali molto diverse fra loro. L’eredità dell’Impressionismo Così, ad esempio, sono stati definiti “postimpressionisti” pittori come Cézanne, che proveniva dalle fila dell’Impressionismo ma sarebbe diventato fonte di ispirazione per il futuro gruppo dei cubisti; come Gauguin, presto considerato un modello dai simbolisti; come Van Gogh, che, conquistato dallo sguardo di denuncia dei realisti e contemporaneamente dalla luminosità delle tele impressioniste, creò un linguaggio assolutamente autonomo aprendo la strada all’Espressionismo; o ancora come Toulouse-Lautrec, il quale tenne ben presente la lezione di Degas e divenne un maestro dell’arte grafica pubblicitaria. Allo stesso modo, è stato ricondotto all’ambito “postimpressionista” anche un importante movimento pittorico di fine Ottocento, il Neoimpressionismo di Seurat, sotto molti punti di vista erede della ricerca cromatica e luministica dell’Impressionismo. Il Simbolismo Tutti questi artisti erano partiti, per certi versi, dalla lezione impressionista, per superarla con la propria ricerca. Ma la fede nel “vero”, propugnata dalla tradizione realista-impressionista, e soprattutto dalla propaganda positivista (intesa come fede incondizionata nei poteri della scienza e della tecnica) venne fortemente contestata da una diversa corrente artistica: il Simbolismo. Alcuni filosofi, scrittori e artisti, ricordati appunto come simbolisti, riconobbero nella loro società contemporanea il crollo dell’apparente status quo che avrebbe portato allo scoppio del conflitto mondiale. Erano, quelli, i segnali di un’imminente catastrofe, che neanche l’ottimismo positivista poteva arginare. Con i loro scritti e le loro opere, gli intellettuali e gli artisti del Simbolismo s’impegnarono a dimostrare la falsità del miraggio positivistico, cercando di denunciare quali malefiche insidie si agitassero dentro di esso, e polemizzarono aspramente non solo contro gli accademici ma persino contro realisti e impressionisti, di cui condividevano la volontà di rottura con la tradizione. Contestando ogni forma di trascrizione del reale, artisti come Sérusier o Ensor ricercarono la verità non già nell’esistenza oggettiva delle cose ma nel concetto di “idea”. All’universo definito e misurabile celebrato dal Positivismo, insomma, tutti gli artisti simbolisti contrapposero, dialetticamente, un mondo poetico, visionario, trascendente e religioso, spesso permeato di sentimenti di solitudine e di angoscia, promettendo una trasformazione creativa del reale. In tal senso, è più che legittimo ricondurre all’ambito simbolista, e non solo postimpressionista, la pittura di Gauguin e soprattutto quella di Van Gogh, che furono immaginifiche e puntarono all’interpretazione di ciò che la realtà proponeva loro. Secessioni e Art Nouveau L’eredità della ricerca simbolista fu immediatamente raccolta da un gruppo di artisti che a Berlino, Vienna e Monaco dette vita, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, alle cosiddette Secessioni, le quali contestarono le organizzazioni ufficiali e proposero il definitivo abbandono dell’accademismo. In tale ambito si affermò l’arte tormentata di Munch a Berlino e quella raffinatissima di Klimt a Vienna. I pittori e gli architetti che parteciparono alle attività delle Secessio...